Svagato, godevo della mite temperatura, gozzovigliavo passeggiando lento, ero solo. Maura la mia compangna e socia aveva da fare con Giulia, sua figlia. Decisi di mollare tutto, la casa, il lavoro, non era un buon periodo, ero mentalmente intasato, nevrotico, troppi impegni, casini professionali, privati, di tutto di più, dovevo a tutti i costi staccare la spina. Così approfittai dell’occasione per concedermi un fine settimana nella città eterna; a’capitale come dicono i romani. Era molto non mi godevo il centro, è cambiato come d’altronde tutta la città, caotico. La dolce vita è oramai un eco lontano, una leggenda persa nel tempo. Roma è meno scanzonata si è denudata di quella tipica nota di strafottenza suddista, è più vicina alla tristezza grigia che si respira al nord, in fondo è solo un luogo comune; di questi tempi per essere tristi va bene qualsiasi posto, non è mica difficile. Fumavo leggevo distrattamente il giornale, curiosavo roteando lo sguardo come una webcam impazzita. Vedevo i tanti turisti affannarsi nei loro molteplici scatti fotografici, invasati nel passatempo preferito, buttare monete dentro la maestosa fontana di Trevi, dove improvvisati subacquei si tuffavano nell’acqua rapidi a far razzia del piccolo tesoro. Sudando sui ruvidi San pietrini giunsi a piazza Navona. Intatta nel suo fascino, sanguigna; ipercolorata, iper rumorosa, iper in tutto, mi persi nel vortice; statue umane, giocolieri, saltimbanchi, prestigiatori, un vero circo a cielo aperto, perfino qualche gladiatore fuggito dalle abituali postazioni, vagava sperso ad inseguire chissà quale destino. Bancarelle con svariate merci dove cinesi e pakistani la facevano da padroni, rumeni all’accattonaggio contrapposti a vecchi e nuovi paperoni; russi, giapponesi, americani che sorridono comprano mangiano, in tutta quella babilonia c’era anche qualche Romano. La mia attenzione venne magnetizzata dai sei giovani e bravi violoncellisti i loro archi emanavano incanti, melodie stupende evaporavano all’aria come angeli celesti. Indeciso sul da farsi, rimanere nella piazza, o andarmene alla ricerca di una trattoria dove mangiare bene standomene un pò tranquillo, quando sentii irrompere fragoroso un tuono che riecheggiò nelle mie orecchie. Il mio nome pronunciato ossessivamente più volte, “Bruno, Bruno.” Ispezionai lo spazio nelle vicinanze cercando di capire se quel tuono di voce fosse veramente destinato a me, era proprio così; davanti a me vido configurarsi un gigante, indossava una tuta di jeans logora, barba folta ben curata e capelli lunghi sciolti, argento vivo, un sorriso sincero. Sorpreso osservai quell’estraneo così entusiasta non capivo chi fosse:
-Ahoo mannaggia a te, ah li mortacci, nun me riconosci? A Brù, te sei proprio rincoglionito? Sò Dante; nun te ricordi? Dante! Dante Magrini, son passati quarant’anni cazzo… nun me riconosci proprio? Nun te ricordi? Brù! Quinto 72, scaglione di ferro a Orvieto, un anno insieme, era nà rottura ma poi alla fine ci siamo divertiti e pure tanto.-
Cosi dicendo il gigante sconosciuto fino a pochi attimi prima mi abbracciò con calore travolgendomi come un treno in corsa.
Dante eccome no, uno dei miei migliori amici d’arme, anzi il migliore. Dopo tutti quegli anni come potevo riconoscerlo,lo ricordavo diverso, uno spilungone magro con la faccia da bravo ragazzo, ora ha assunto le sembianze di un vecchio corsaro. Ci siamo incontrati appena arrivati in caserma, mentre eravamo impegnati in una delle tante code di rito che si devono subire in quei primi giorni di servizio militare.
Tra noi subitò s’instauro una simpatia, presto si tramutò in grande amicizia che si dipanò il giorno del concedo, tra abbracci, lacrime, mille progetti e tante promesse di rivedersi, poi le traccie di noi perse nelle tramontane della vita. Io avvocato a Foligno, lui a Roma a fare non so cosa. Rinvango solo che i suoi erano separati, lui viveva col padre. Era lì, un’alluccinazione, materializzata dal passato in tanta carne e ossa. Caciarone, allegro, mi commossi felice di quel piacevole incontro. Lui interuppe i miei ricordi con la sua possente voce e iniziò a mitraglia:
-A Brù come stai? Che fai? Stai bene? Ma si che stai bene… Chi t’ammazza a te!?
Eri una volpe, un paraculo, scommetto non sei cambiato? Che piacere trovarti qui e soprattutto vivo, pensavo che fossi divenuto un tossico, un ubriacone. Ti ricordi quante sbornie, quante canne e gli acidi? Cazzo che serata quella, pisciammo sulla branda di quel bergamasco di merda, come si chiamava? Bendotti? Vero Bendotti, che stronzo, era nà spia, un’infame. Mamma mia come sono felice non ti immagini quanto?-
E giù sfila una pesante manata lussandomi quasi una spalla. Mille pezzi di quel passato si erano ammassati convulsi in me, mille pensieri: Dante, Filippo il cremonese, Federico,tutti gli altri che scombinata combriccola, giovani e temerari.
Ma a Dante come andranno le cose? A vederlo così vestito non sembra molto bene. Una voce decisa dà tregua alle mie riflessioni “Dante” lo richiama:
-Smettila! Invece di fare il pagliaccio invita il tuo amico a bere qualcosa.-
-Bruno,ti presento mia moglie, Elisa.-
“Piacere signora.” Dissi sorridendo cordialmente
Era a poca distanza da noi, non me ne ero accorto, leggeva un libro, discreta e silenziosa. Una bella donna, aspetto raffinato. Indossava una gonna lunga, semplice ed una camicietta blu, doveva avere circa cinquant’anni, una pelle dorata decorava il volto austero, due occhi di un nero profondo, intensi, un velo di trucco donava il giusto equilibrio,il tutto ornato da capelli corti di un grigio brillante naturale. Dante di colpo si tranquillizzò e replicò:
-Si certo che l’invito ma non ho soldi, tu ne hai?- “No” fu la secca risposta di Elisa. Leggermente imbarazzato, confuso, mi affrettai a dire: -Offro io, non preoccuparti Dante.-
-No! Non ci provare, che stai a dì? Sei mio ospite, questa è casa mia. Ci penso io, dammi solo un attimo. Lo vidi estrarre dall’usurato zaino un vecchio berretto e un piccolo cartello, d’improvviso cadde in ginocchio a terra come folgorato. Pose davanti a lui il berretto e il cartello ove lessi la scritta in rosso vivo “IMPRENDITORE ROVINATO DAGLI INSOLUTI E DAL FISCO. AIUTATEMI PERCHE’NON HO SOLDI NEANCHE PER MANGIARE”
In quel momento una nube di tristezza affossò il mio essere, cazzo ritrovare un amico dopo tanti anni e vederlo cosi ridotto male, chiedere l’elemosina per poter offrirmi un aperitivo. Reagii e con voce risoluta dissi:
-Dante, per favore alzati, parliamo posso aiutarti.-
Elisa sempre poco distante, intenta nella sua lettura non si scompose minimamente.
Il gigante con un cenno della mano mi fece segno di allontanarmi e tacere. Malvolentieri accosentii, in pochi minuti raccimolò diverse monete,quando si elevò dalla genuflessa posizione contò rapido il denaro raccattato:
-Hai visto Bruno?- esclamò contento come un bambino:
-Sono diciotto euro, che ci vuole è facile, se poi ci scrivo che i politici fanno schifo e sono tutti ladri, raccolgo ancora più soldi; ora andiamo a bere.- Rise.
Mi prese sotto braccio ed entrammo in un bar: -Elisa cosa prendi?-
-Un caffè amaro ristretto.- Rispose la moglie
Va bene. Bruno te cosa prendi?-
Non risposi, volevo sapere di più, capire come mai se la passasse così male vedere se in qualche modo potevo aiutarlo. Dante non mi dava modo era un fiume in piena sciorinava a raffica ricordi d’arme; narrava delle guardie fatte di notte, dove passavamo il tempo a giocare a carte a bere e sfogliare giornali pornografici, le sbornie in camerata, i gavettoni, il tenente tizio, il capitano caio. Frastornato cercavo di stare dietro alle sue chiacchere, era piacevole sentirlo raccontare dei tempi andati delle situazioni goliardiche che evocavano romantiche nostalgie. Allo stesso tempo ero intristito per la sua situazione economica che mi pareva veramente disastrosa.
Dante ordinò due spritz per noi e il caffè per sua moglie. Nel frangente una zingara giovane e bella con un bimbo in braccio si intrufolò tra noi, voleva leggermi la mano, il mio amico barbuto intervenne prontamente, predendo tra le sue quella della giovane gitana, ero sbigottito da tale atteggiamento anche la donna ne rimase sorpresa, il suo volto si segnò d’inquietudine, Dante con fare scrupoloso scrutò la mano poi sentenziò esplicito:
-Avrai una vita molto lunga, piena di salute, ma se non la smetti di rubare e dire cazzate al prossimo, molta di questa la trascorrerai dietro le sbarre di Rebibbia.-
La zingara furibonda fluttuò parole malefiche nell’aria e volse le spalle, Dante la richiamò:
-Attenta ragazza- disse con calma, -tutto quello che mi stai augurando sarà per te il doppio, anche il triplo, devi esserne certa.-
La zingara mortificata svanì tra la folla. Dante esplose in una grassa risata:
-Dai Bruno ora brindiamo; alla salute, ai tempi andati, all’amicizia e al futuro, cin.-
Così dicendo alzò il calice al cielo, ero completamente esterefatto da questo personaggio roboante, nutrivo ammirazione per lui,non compredendone il motivo provavo anche un pizzico d’invidia forse per la dignità e l’apparente allegria con le quali fronteggiava una situazione certo non facile,dava l’impressione di uomo libero. Spesso mi sorprendo a lamentarmi, ma di cosa? Non mi manca nulla, forse solo un pò di libertà schiavo della frenesia che la vita mi impone. Dante mi chiese -tu che lavoro fai?- L’avvocato risposi. -Ecco un altro bel ladrone,- rise ancora di cuore, giù un altra devastante manata sulla mia spalla. Elisa rispose al cellulare, dopo breve lo passò al marito dicendo:
-Tuo figlio ti vuole.-
-Cosa vuole?-
-Non lo so lo sento allarmato.-
Dante assunse un tono gravoso fin ora inusale e rispose.-
-Dimmi cosa succede?…… Cazzo allora è davvero grave! Arrivo subito hai provveduto a mandarmi l’auto medica?… Si sono in piazza Navona, te preoccupati di far predisporre tutto il necessario, preparate la sala, tra un ora al massimo operiamo, ciao.-
Porse il cellulare alla moglie, chiese cosa fosse succeso?
Il mio amico trasudando impazienza rispose:
– Un intervento a cuore aperto, molto delicato il paziente ha un’arteria lacerata è molto grave, Marco non se la sente da solo devo andare io.
Elisa lo guardò poi dichiarò:-
Sbrigati allora, certo non puoi presentarti in clinica conciato in quel modo?-
Noo! E come ci devo andare?… Devo operare mica andare a un matrimonio.-
Per favore stai zitto non fare il buffone andiamo, là c’è una boutique.
Dante s’indirizzò, voltandosi mi disse sconsolato:
-Ah le mogli… dai Bruno vieni con me aiutami a scegliere stò cazzo di abito.-
Lo seguii senza fare domande, non avevo capito nulla di quello che stava succedendo. Entrammo nel negozio, in fretta scelse un abito blù di buona fattura ed una camicia bianca, tutto gli calzava a pennello. Si rivolse al commesso e disse:
-Ok lo prendo quant’è? Nel frattempo si legava i lunghi capelli dietro la nuca assumendo un aspetto molto ordinato. Il commesso in un sorriso banale rispose:
-sono seicento euro signore.-
Elisa tiro fuori una carta di credito e l’adagio sul tavolo, ero sempre più sbalordito non ci stavo capendo più nulla, sembrava di essere vittima di una stupida candid camera, di qualche inutile trasmissione televisiva.
Dante mi abbracciò forte e disse:
-Bruno è stato veramente un piacere, Elisa mi porse un biglietto da visita, Brù, stavolta non perdiamoci di vista, promettilo, telefonami; ciao Brù stammi bene ora devo scappare. Rivolgendosi alla moglie le disse:
-Elisa spiegagli tu, noi poi ci vediamo a casa.-
L’abbracciò baciandola teneramente sulla fronte, prese la strada.
Elisa sorrise, guardando il marito andar via. Mi prese sotto braccio, delicatamente iniziò a darmi delle spiegazioni:
-Vede caro signor Bruno, mio marito è un ottimo chirurgo, ha lavorato sempre molto sodo, da vent’anni è primario e proprietario di una clinica, ora sono i nostri due figli a occuparsene, la sua presenza è comunque spesso indispensabile, interventi come quello di oggi li può fare solo lui. Dante da cinque anni ha un cancro, i dottori gli avevano dato al massimo un anno di vita, lui non si è arreso mai, sta lottando e sta tenendo testa al male relegandolo in un angolo, la sua vita comunque è sempre appesa ad un filo.
Questo gli ha fatto capire che non va presa troppo sul serio, lui sostiene che si deve prendere per la coda, prima che lo faccia lei. Il pensiero di Dante è; la vita va rispettata ma deve essere cosa reciproca. Lui cerca di essere spensierato, di ridere, di non pensare, non vuole certo prendere in giro nessuno, è un uomo molto buono.-
Ero sbigottito invaso da mille sensazioni.
-Bruno si faccia sentire, a noi farà molto piacere, arrivederci.-
Mi strise la mano, nella sua movenza aristocratica se ne andò.
Il sole era di un bianco puro, la piazza era sempre più chiassosa, variopinta, ero solo in mezzo a tante persone, di sicuro ne avevo conosciuta una molto speciale, un amico.
Dante Magrini uno dei chirurghi più bravi d’Europa, un luminare, aveva fatto l’elemosina per offrirmi da bere, incredibile. E’vero l’abito non fa proprio il monaco.
fine