Non prendete la vita troppo sul serio comunque vada non ne uscirete vivi

Archivio per gennaio, 2012

UN FREDDO GIORNO DI GENNAIO

Un freddo 29 gennaio un giardino spoglio, alcuni germogli inappropriatamente facevano capolino, il sole non scaldava, quell’inverno era insolitamente tiepido.Quel giorno invece le temperuture si erano eclissate abbassandosi nettamente tornando sui valori normali del periodo. L’aria pungente sfogava sul viso, Elena ed io eravamo seduti su una panchina avvolti in calde giacche a vento, lei aveva un berretto di lana calcato fino alle orecchie, un buffo pon pon all’estremità, io occhiali da sole scuri, uno sciarpone arrotolato maldestramente al collo. Ermeticamente chiusi in un silenzio inutile, avevamo molte cose da dirci ma dalle nostre bocche fuoriuscivano solo piccole nubi di condensato vapore. Era leggermente ingrassata, inalterata la sua bellezza. Io mi vedevo invecchiato soprattutto nella mente,stanco tornavo dal mio ennesimo viaggio, Londra la mia ultima destinazione. L’umidità e le grigie faccie inglesi mi nauseavano ancora nella memoria. Lei aveva quel suo libro poggiato sulle gambe, l’aveva iniziato un mese prima, il giorno della mia partenza, non era riuscita a leggerne neanche la metà. Provai ad accarezzarle i capelli sottili, lunghi splendenti più del sole, spocchiosa si ritrasse idiosincrasicamente malcelando un inqiueto nervosismo, di scatto mi alzai in piedi accesi una sigaretta, aspirai profonde boccate dicendole:
– Senti dobbiamo prendere una decisione così non possiamo più continuare.- Lei rimase inespressiva non proferendo alcuna sillaba. Nevrastenico aspirai ancora fumo, poi gettai la sigaretta a terra calpestadandola con rabbia, dandomi un barlume di tono incalzai:
– Mi rispondi o no? Non puoi sempre comportarti così!-
-Comportarmi così come?- A me parli di comportamento!?-
-Comeee!… Per esempio riesci a parlare solo al telefono quando sono lontano da casa o nei momenti meno opppurtuni, tipo quando sto lavorando nel mio studio. Rispondi cazzo! Dì qualcosa.-
A questa mia frase Elena inziò a singhiozzare fino a piangere chiudendosi ancor di più in quel irriverente silenzio. Quel suo atteggiamento mi mandò letteralmente in bestia, stavo per esplodere non so quale miracolo fece trattenere il mio lato oscuro. Lei rendendosi conto del mio stato d’animo si sciolse formalmente e sottovoce emise:
-Calmati, arrabbiarti non porta a niente, cerca di essere tranquillo.-
-Spiegami perchè dovrei essere tranquillo, PERCHE’? Spiegami.
Non sò più come prenderti sei sempre scontenta non ti va bene nulla.
-Dai Paolo! smettila mi hai raccontato sempre una marea di cazzate ora basta non le tollero più. Il nostro rapporto oramai si è consumato come legna accesa in un camino, la fiamma è spenta, è rimasta solo la cenere. Il figlio che ho nel grembo non ci stà aiutando anzi stà peggiorando le cose, tu sei preso troppo da te stesso, dai tuoi viaggi, il tuo lavoro e non aggiungo altro… Non abbiamo più nulla da dirci e quel poco che abbiamo non riusciamo a comunicarlo in maniera decente.
E’finita Paolo devi prenderne atto come lo sto facendo io.-
-Ma vaffanculo Elena, sei un’egoista pensi solo a te stessa,non hai capito un cazzo non hai rispetto neanche per questo figlio, comunque hai ragione tu è finita.
-Maldicendo me ne andai, lasciandola sola in quel giardino brullo in quel freddo giorno di gennaio. Non la vidi più.

E’notta fonda. Il chiarore dell’alba è ancora lontano, sono sveglio ho freddo, sudo, mi attorciglio nella coperta. Oggi è ancora un 29 gennaio, stanotte come ogni notte, da dieci lunghi anni, faccio lo stesso identico sogno. Un atroce stillicidio, tutto è uguale a quello sciagurato giorno, lei, io, lo stesso giardino quel litigio. Tutte le notti quest’incubo torna a fracassare il mio breve sonno, non ho riposo. Quel giorno rientrando a casa in quel preciso istante sentii l’auto di Elena allontanarsi rabbiosamente, avrei voluto inseguirla, desistetti.
Dopo circa un’ora venni informato che era stata coinvolta in un incidente stradale, un camion le aveva tagliato la strada era andata a finire sotto il rimorchio del possente articolato, non ci fu scampo per Elena. Morta sul colpo, nostro figlio sarebbe dovuto nascere a marzo.
Da quel giorno non sono più riuscito a riprendermi, ho rinuciato a vivere, ho cambiato città, casa, ho abbandonato il lavoro, ero un promettente ingegnere, non ho più amici, amanti, nulla, solo dolore. Il mio.
Vivo in questo sperduto paese di montagna, ai confini con l’Austria,non conosco nessuno, vado poco in paese non frequento gente, parlo il necessario, quasi niente. Sono sfigurato nell’anima, imbruttito, ho quarant’anni ne dimostro il doppio, non mi interessa. Faccio lunghe passeggiate sui monti, mi guadagno da vivere intagliando legno facendo sculture, le vendo a finti artigiani, commercianti che poi le smerciano ai mercatini spacciandole per loro creazioni, a me non importa non ho voglia di interloquire con le persone, guadagno il tanto che basta per sopravvivere. Sono riuscito a far perdere le mie traccie, sono un fantasma, un uomo senza alcuna identità, volevo farla finita tentai il suicidio tagliandomi le vene, le cicatrici scolpite nei polsi inesorabili me lo ricordano. Fui un pusillanime mentre dissanguavo in extremis riuscii a chiamare il 118, il pronto intervento dei sanitari mi sottraette al trapasso. Forse in quel momento pensai che era troppo semplice farla finita, mi dovevo punire e finchè la sofferenza non sarà al culmine agonizzerò ogni attimo di questa dannata vita.
L’unico contatto esistente è quello epistolare con mia sorella Laura, forse siamo ancora gli unici a comunicare tramite lettera. Non ho televisione nè radio nè computer, cellulare, niente tecnologia. A Laura ho impedito categoricamente di venire a trovarmi, suo malgrado rispetta questa mia volontà. Scrive anche una lettera a settimana, le leggo tutte, non sempre rispondo, se lo faccio, sono sintetico, scrivendo sempre la stessa frase:
– Tutto a posto. Stai tranquilla.
Un abbraccio ti voglio bene.-
Sento un rumore avvicinarsi, lo riconosco è quello di un auto. Oggi deve essere venerdì, il giorno di consegna della posta, esco fuori mi appoggio sulla staccionata, aspetto l’arrivo della piccola utilitaria, eccola sbucare dalla nube bianca di fresca neve. Rosa la postina scende dall’auto. E’una bella donna sulla quarantina, bionda, due occhi da gatta, un volto dall’aria intelligente molto espressivo. Indifferente apostrofa:
“Buongiorno signor Paolo c’è la solita lettera per lei.”
Prendo la missiva dalle sue mani, lei oppone una leggera insolita resistenza prima di lasciarla conclude:
“Mi scusi forse sono inopportuna mi dovrei fare i fatti miei. A lei piace proprio stare solo non ha bisogno di un contatto umano? Non le viene mai la necessità di frequentare qualcuno? Scusi se mi permetto.. Stasera in paese è festa, festeggiamo i giorni della merla, i più freddi dell’anno. La leggenda narra che le fate scendono nei centri abitati per divertirsi e ballare, noi le aspettiamo sulla piazza grande, accendiamo un grande falò bevendo vin brulè ascoltiamo musica… Perchè non viene? Sara divertente vedrà, io ci sarò.”
Prendo la lettera senza rispondere. Rientro nella baita.

Sto intagliando, preso dalla mia scultura dalla finestra noto a valle un bagliore, esco fuori è freddo, un freddo pulito, sano, respiro profondamente. Scorgo nettamente la fiamma del falò di cui parlava Rosa stamane, si eleva danzando nel buio della notte frangendo le poche stelle. Odo leggere note allegre sospiro, rimpiango.
Rientro, vado in bagno mi guardo allo specchio vedo la mia barba sempre più lunga, grigia increspata. Prendo un paio di forbici. Inzio a sfoltirla .

il mio vivere

Mi diverto mentre vivo
canto mentre suono
sorrido alle parole che intaglio
scolpisco
siano gemme preziose o avanzi superflui
versi dolci, aspri, melensi

stonati nel giorno
intonati al vespro
incastonati nella luna, come diamanti splendono
brillano al mio cuore
dissonano nella mia mente
sconforto
speranza
essere

essenza sgorga dal fondo
promiscuo intreccio d’impulsi
irrefrenabile vita
ora lento osservo il mio dire
mentre descrivo il mio vivere

Un Altro Dio


Passi solenni screpitano nel silenzio, lento l’avanzare, le lucide scarpe nere solcano il ghiaccio marmo. Poche donne, figure d’ombra in liturgico pensiero. Le luci deboli non rendono il giusto risalto all’essenziale navata, polveri trasparenti, odore acre di legno, candele accese.
Dietro lo spartano altare i candelabri illuminano il volto sofferente del Cristo, il suo sguardo sembra contrapporsi con il ceruleo dell’uomo, ora devoto si china riverente passandosi la mano dalla fronte al petto nel segno della Croce .Indietreggiando senza voltarsi arriva alla seconda fila di banchi in un rovere sofferente usurato dal tempo, s’inginocchia, da una tasca esterna della dozzinale giacca a quadri estrae il rosario, deglutisce poi con voce afona recita: 

-Padre nostro che sei nei cieli sia santificato il tuo nome venga il tuo regno e sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra, dacci oggi il nostro pane quotidiano e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiano ai nostri debitori, non ci indurre in tentazione ma liberaci dal male Amen.-

Spostando il liso polsino l’uomo guarda l’orologio, gli occhi brillano di uno strano bagliore che mal s’intona con quel sacro luogo, scricchiolii improvvisi di legno, lo starnuto di un’anziana donna dipinta nel nero per qualche suo lutto, solleva  una piccola nube di pulviscolo, và a disperdersi nella luce del sole appannato, disperato sfora il cristallo della finestra della navata laterale.
La sagoma umana, tozza nella figura ora si solleva dalla genuflessa posizione, dalle sue labbra appena accennata una smorfia maligna, di nuovo ordinario ripete il rituale facendosi il segno della croce,volge a destra della basilica dove appesi al muro imponenti dipinti sacri, il primo un intensa Natività raffigura una Madonna gaudente con  bambino, poi a seguire San Giuseppe Patrono di Bagheria, il terzo un Cristo disteso ai piedi della Croce, sotto ogni immagine ossequioso s’inchina. Si sofferma su quello di Santa Rosalia, patrona della città. Slacciandosi l’ultimo bottone della camicia, mostra un collo taurino, accende una candela in onore della Santa, prega ancora assorto.  Solennemente così com’è entrato prende la via d’uscita, non prima di aver bagnato la mano nell’acqua Benedetta e aver espletato l’ennesima riverenza.
Fuori è maggio ad attenderlo sul piazzale due uomini, indossano giubotti di pelle nera, sui volti poco rassicuranti occhiali scuri.
L’uomo tarchiato dallo sguardo glauco smarrito nel grigio delle orbite, senza proferire parola riceve la risposta che si aspettava,i due loschi figuri simultaneamente come marionette, mostrando ghigni feroci chinano la testa in cenno d’assenso. L’ambiguo personaggio ripone il rosario nella tasca, senza scomporsi non nega soddisfazione. Lento scende le scale della chiesa,sulla piazza uno dei due garzoni s’affretta ad aprgli la portiera della vecchia Citroen zx, sale a bordo. Il guardiaspalle lo fà a sua volta ponendosi alla guida, l’altro figuro inforca una potente due ruote, i mezzi scompaiono furtivi nel frenetico traffico dove allampano urla di sirene impazzite.
L’auto confondendosi nel caos quotidiano di Palermo fila via liscia. 
L’autista accende lo stereo, da un giornale radio notizie confuse annunciano di una strage avvenuta pochi minuti prima sotto il cielo di Capaci, un esplosione ha squarciato dilaniando un tratto di asfalto coinvolgendo diverse auto. Giovanni Falcone Procuratore della Repubblica, sua moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta sono morti. Un attentato di chiara matrice mafiosa, la città sembra impazzita, coincitata, pattuglie di polizia e carabinieri vagano frastornate. Totò u’curto è sereno,devoto recita ancora:
-Padre nostro che sei nei cieli liberaci dal male come hai fatto oggi, sia fatta la tua e la mia volontà Amen.-
Rivolgendosi all’ autista sussurra:
-Pietruzzo domani dona in forma anonima 20 milioni,scrivici che sono per la festa Di Santa Rosalia, capisti?.
-Si Totò sarà fatto.-
Il capo dei capi assentendo sorride soddisfatto.

 

 

 

 

Il 23 maggio del 1992 in un attentato mafioso sull’ autostrada che collega l’aeroporto di Punta Raisi (oggi Falcone Borsellino)con Palermo, perirono il procuratore antimafia Giovanni Falcone sua moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta: Vito Schifani,Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro.lo stato in quell’ occassione subì un grave oltraggio, una dolorosa sconfitta.

Il 15 gennaio del 1993 alle ore 5 e 30 di una domenica, dopo mesi di estenuanti pedinamenti, il nucleo speciale dei Carabinieri coordinati dal Capitano Ultimo arrestarono Toto Riina. Il Capo dei capi di cosa nostra, poi condannato all’ ergastolo riconosciuto come il mandante della strage di Capaci. Lo stato torna in evidenza consolidando il suo ruolo.

12 gennaio 2012 la camera rigetta l’arresto dell’Onorevole Cosentino accusato di essere colluso con la camorra.

 Quale Dio? quale Stato?

UNA STORIA – tra passato e futuro- “la lunga sciarpa sui navigli”


Il lento scorrere, il naviglio avvolto in un elegante rosa corallo, le prime stelle discrete iniziano a sbocciare ingannando di fatto il letto del fiume illuminato già dalle piccole scintille artificiali poste ad arco sopra di esso per le festivita Natalizie. Poche le persone in questo primo giorno dell’anno, la temperatura è dolce non sembra sia gennaio, neanche essere a Milano. Amo i navigli, passeggiarci, un oasi di pace. Pare di essere in un ridente paese di provincia, l’atmosfera è magica a volte surreale una cattedrale. I tanti ristoranti, troppi, dallo stile finto tipico propongono piatti di dubbia qualità tanto sono asettici e poco curati sfiorando soltanto il gusto verace della genuinità lombarda, è raro mangiare un ossubuco davvero buono così come le polente,i risotti, tutto condito da prezzi spesso esorbitanti.Le botteghe antiche, i pittori, rigattieri, i liutai, gli artigiani in genere quasi tutti scomparsi, pochi resistono all’ agressione dello sfacciato business, sfrattati da affitti eccessivi. Nonostante tutto nulla riesce ad intaccare il fascino di questo delizioso luogo. Da poco sono venuto a vivere qui, risiedo sul Naviglio Grande, sono in una conchiglia da 1200 euro al mese, il mio lavoro fortunatamente lo permette. Estasiato, tutte le mattine quando muovo i primi passi sul viale e quanto alla sera torno. Amo viaggiare in tram, osservare le figure, le forme che prendono vita fino a consumarla. Amo i volti grigi dei milanesi, compassati neanche più di tanto. Milano che cambia, Milano che non si beve più, Milano capitale della moda, Milano del panettone, anche una Milano meno appariscente più consapevole, oserei dire anche un tantino più sobria, Milano comunque vitale al passo con i tempi. Il buio ruba spazio al pomeriggio, il rosa riflesso è oramai inghiottito dalle morbide acque, mi trovo a passare davanti alla casa di Alda Merini; non ho capito bene, penso la demoliscano per fare altrove una casa museo in suo onore, che senso ha distruggere un luogo dove ha vissuto, amato, sofferto, gioito, pianto, scritto poesie sulle mura? Il luogo dove è morta nell’intimita dei misteri del mondo come recita la targa posta all’esterno. Mi soffermo per la centesima volta a rimirare il presepe galleggiante, proseguo inoltrandomi in luoghi ancor più silensiosi, sento solo il canto dei miei passi che cadono soffici come neve persa nel tempo. Arrivo in una romantica piazzetta, dove pare in eterna contemplazione la piccola chiesa di San Cristoforo, dentro qualche anima in preghiera. Rimango sempre rapito degli splendidi affreschi, alcuni avrebbero urgente bisogno di restauro, nonostante mantengano inalterato il fascino della chiesuola.La leggenda narra di questo omone grande e grosso, burbero e solitario. Egli traghettava di tutto caricandoselo sulle spalle da una sponda all’altra del fiume; un giorno mentre doveva trasportare un bimbo dal fisico minuto faticò tremendamente a guadare il corso d’acqua arrivando all’altra riva stremato, incredulo per lo sforzo sostenuto. Il pargolo si annunciò a lui come Gesù Cristo spiegando al brav’uomo il senso dell’episodio: “Gli uomini non sono nulla senza la fede e l’umiltà, le difficoltà nella vita possono arrivare inaspettate mai peccare di superbia.” Così fu che il burbero ma buono omone prese il nome di Cristoforo, cioè portatore del Cristo.
Dopo aver apprezzato l’artistico presepe esco continuando il mio cammino, dal Grande mi sposto nel Naviglio Pavese a me piace meno con quei suoi barconi adibiti a ristorante comunque sempre degno di essere corteggiato, lo percorro fino alla fine, sono in porta Ticinese, qui rivedo Milano, le auto, i tram, luci smaniose di protagonismo;

 Penso sia ora di tornare a casa nel mio guscio. Cambio idea, decido di andare a trovare Mitti la pittrice, ha lo studio sull’alzaia vicino al vicolo Lavandai, una cara persona affabile, l’ho conosciuta esattamente un anno fà.

vicolo lavandai 

Era la notte di capodanno gironzolavo con una bottiglia di champagne in mano sorseggiando di tanto in tanto il gustoso nettare insieme alla mia compagna, era appena passata la mezzanotte avevamo cenato nella nostra nuova casa, poi decidemmo di continuare ad assaporare il nuovo anno uscendo. Passeggiando fummo attirati dalle note allegre di un sax, attraverso le vetrine di un atelier di pittura scorgemmo persone dai volti simpatici, festeggiavano, mangiando e bevendo, si divertivano ballando in quello spazio così intimo e colorato. Una signora sorridente con la mano ci fece cenno d’entrare, fu piacevolissimo trascorrere la notte in quel posto, assorbiti dalla cultura, poesie in dialetto meneghino recitate da Paola, i racconti di Giorgio, rigattiere esperto restauratore proprietario fino al 2007 di un’antica bottega sul naviglio “l’arzigozzoviglieria” che aggrappato ancora ai ricordi, preouccupato da un futuro globalizzato a cui sobriamente si oppone. Laura giovane donna ungherese ci deliziava, in madre linqua con canti lirici. Un atmosfera romantica di altri tempi.
Ecco Mitti, assorta al pc mi vede, salutandomi cordialmente, ci scambiamo gli auguri c’è anche Giorgio, gentile come suo solito prende dal frigo una bottiglia di vino bianco e delle olive ascolane dicendomi:
-Assaggia queste, sono buone le ha portate una tua conterranea, non sono quelle industriali.-
Ne assaggio un paio, sono davvero buone, brindiamo.
Maria Teresa, questo è il vero nome di Mitti, mi aggiorna sull’andamento del suo bizzarro quanto nobile progetto, lei insieme al suo inseparabile amico Giorgio hanno costituito un associazione dal nome e di fatto “Coinvolgente,” il progetto tratta la realizzazione di una sciarpa lunga quanto le sponde del naviglio, tutti possono aderire collaborando, portando pezzi che siano di lana, cotone o altro non ha importanza, basta siano larghi trenta centimetri, lunghi quanto ognuno vuole. Lo scopo è quello di proteggere e preservare il naviglio dalle avversità delle troppe modernità estraendo così la vera essenza, la storia la cultura di Milano e dei milanesi.
Mitti è entusiasta di tale inziativa, mi accompagna nel cortiletto retrostante a vedere i primi 600 metri dell’enorme gomitolo consegnatole, mi congratulo con lei condividendo emozione. Beviamo un altro bicchiere di vino, altro brindisi, non fà mai male. Li saluto torno a casa.

la famosa sciarpa .

    locandina ufficiale della manifestazione tratta dall’ acquerelllo dipinto da “Mitti”

Sono alla finestra godo ancora dell’incanto che emana il flusso del borgo,una leggera nebbia lo avvolge quasi a proteggerlo le luci affondano soffuse, la magia rimane. Il naviglio continua a scorrere melanconico aspettando una nuova alba.

luci sul canale

le luci fioche violano la quiete della fredda notte
il calore di un falò scalda il canale
dove silenzio riposa
le viscere vitali sono quì
in questo rifugio notturno occultato
dalle frenesie quotidiane
ignoranza rabbia qui casa non hanno.
respiro nascosto tra i miei tiepidi pensieri
acqua cheta scorre
brillando riflessa nei tuoi occhi
domani sarò ancora vivo

ti proteggo

riordino le stuoia, filtro il mio umore.
aromi di caffè
incensi
la notte è tornata ad essere dea
incontrastata regina.
scarne le stelle stasera,
come oscuri presagi
nubi minacciose ammassano nere
ti siedo vicino
spengo la luna
così non potrà disturbare il tuo giacere
ti proteggo guardandoti sognare
sorridi