Non prendete la vita troppo sul serio comunque vada non ne uscirete vivi

Archivio per giugno, 2011

come un gabbiano

al tramonto,riposano
sfumati chiarori
meraviglie del giorno che lento svanisce.
invano cerco il colore dei tuoi occhi
il mio respiro è solo.
da questo mare scolpito di bronzo
mi lascio accarezzare.
come un gabbiano audace
libero vola il pensiero,
che all’ amor sublima

UN POMERIGGIO AL FIUME


Tonino e Carlo amici fin dall’infanzia, dopo aver pranzato velocemente nelle loro rispettive case si dovevano incontrare in piazzetta. Erano d’accordo per andare al fiume. La scuola era finita da qualche giorno, le agognate vacanze estive iniziate, forse erano riusciti ad essere promossi in seconda media. Purtroppo gli esiti degli scrutini resi noti qualche giorno dopo decretarano l’amara sentenza: Carlo due materie da recuperare, matematica ed inglese,Toni una, italiano. Successivamente all’esame riparatore di settembre entrambi promossi. Il sole illuminava il cielo terso, scaldando quella giornata di metà giugno, Tonino appena vide Carlo sbucare da una viuzza adiacente allo spiazzo gli urlò:”hai preso le buste di plastica”? “Si” rispose l’amico. Dopo essere scesi dal ripido viottolo giunsero sulla pietrosa sponda del corso d’acqua che mansueto scorreva. Decisero di percorrere il sentiero più lungo, che snodava sulla sinistra. La folta vegetazione rendeva difficoltosa la marcia, arrivarono al “bagno uno”, gli slarghi e le rientranze balneabili del fiume, i ragazzi che lo frequentavano le chiamavamo così, anche conche o pozze, comunque tutti venivano numerati.Il bagno tre già a quell’ora era affollato. C’era la comitiva di Porta Romana quella di Gianni detto il “Roscio”soprannominato così per via del colore dei suoi capelli. Tonino e Carlo non nutrivano molta simpatia per quella banda soprattutto per il “Roscio”, l’incontro fu condito di sfottò e qualche battuta sarcastica, dopo essersi scambiati anche un paio di vaffanculo proseguerirono nella loro direzione allontanandosi dalla comitiva e dal bagno. Il numero quattro detto anche “bagno lungo” era sempre deserto,perchè l’acqua in quel tratto era poco profonda non agevolava il nuoto. Al “cinque” soprannominato la “conca” tre ragazzini, avranno avuto al massimo dieci anni, mai visti prima d’ora sguazzavano felici, ridendo scherzando tra loro, contenti salutarono i due che snobbandoli non risposero tirando avanti. Tonino e Carlo quel luogo lo consideravano un pò il loro regno. Essere al fiume per i ragazzi era pura magia, lì imparavano a nuotare, si divertivano in compagnia allestendo capanne, facendole divenire delle vere e proprie abitazioni tanto erano accorti nel costruirle, ci trascorrevano molto tempo, giocando a carte, parlando, ridendo raccontandosi barzellette. In quei capanni le prime sigarette fumate di nascosto,le prime masturbazioni. Il fiume teatro affascinante, custode discreto dei loro segreti. Chi non era assiduo nel fiume era definito sgradito intruso. Dopo aver scarpinato sul fondo scosceso dell’ argine arrivarano a destinazione, il bagno sette, il più piccolo, per questo detto “la pozza”. Quel punto era costellato da enormi massi, alcuni di loro superavano i due metri d’altezza, ideali per tuffarsi. In un lampo si spogliarono tolsero anche le mutande per non bagnarle, cosi facendo le loro madri non si sarebbero accorte della loro disubbidienza, essendo contrarie che i propri figli frequntassero il fiume, ritenendolo un luogo pericoloso per la loro incolumità. Per gli habitué stare al fiume nudi era cosa normale. Tonino agile dal fisico asciutto immediatamente s’arrampicò su un grosso masso il più alto, tuffandosi nel piccolo specchio riflesso di color verde muschio, l’acqua in quel punto era molto profonda, perfetta per quel tipo d’esercizio. Carlo scelse uno scoglio più basso seguendolo nel movimento, il suo impatto con l’acqua fu goffo, Toni era molto più bravo del suo amico. In poco tempo avevano eseguito decine di tuffi, decisero di fare una pausa per non stancarsi troppo, riposandosi nella spiaggetta antistante, fumarono una sigaretta in comune, Carlo l’aveva “rubata” a casa dal pacchetto del padre, una M.S. Nel frattempo, non troppo lontano, udirono un vociare, urla assordanti, presto divennerò sempre più forti fino a meterializzarsi, era la banda di “via Verdi”, ragazzi quasi adulti un pò scapestrati. Franco detto tarzanitte per via del possente fisico, aveva modi selvaggi, bucolicamente spavaldi, inveii subito contro i due urlandogli:”Cosa ci fate qui mocciosi? lo sapete non ci potete stare! QUESTO BAGNO E’ NOSTRO”. Tonino lo conosceva bene, garbatamente gli disse: “dai Franco noi abbiamo finito, non vi diamo fastidio, stiamo qui tranquilli guardiamo solo”. Guido un altro componente della banda rivolgendosi sempre a Franco disse: “lasciali stare che fastidio ti danno”? Tarzanitte bestemmiò, si spogliò nudo e come una scimmia volteggiò rapido sopra al masso più alto, in un baleno schizzò in acqua tentando mal riuscendoci una piroetta nell’aria tonfando in acqua sortì un gran rumore, riemerse ridendo come un matto, era proprio uno sciroccato totale. Gli altri ragazzi lo seguirono tuffandosi a loro volta, poi per ultimo Adriano, dallo scoglio staccò puntando alto al cielo, piegandosi a squadra a 90 gradi, a pochi centimetri dal pelo dell’acqua si distese con eleganza, entrò diritto come un fuso, neanche uno schizzo, perfetto. Vederlo era uno spettacolo, veramente bravo. Dopo un pò i due amici salutarano la strampalata compagnia, inoltrandosi fino ad arrivare in un minuscolo bagno, il fiume irrequieto saltava sulle roccie formando delle cascatelle, entrarano in acqua, Carlo ad alta voce chiese a Tonino “quello va bene”? indicando un grosso masso che affiorava imponente, l’amico annuendo disse: “tu mettiti all’estremità di fronte a quella buca, io entro da quest’altra parte, cerca di fare più baccano possibile”. ‘Immergendosi tutto nell’acqua gelata, testa compresa, scomparse sotto il macigno. Carlo fece lo stesso, la cavità della grossa pietra brulicava di pesci: trote, triotti, carpe, barbi. Carlo dimenticandosi di essere immerso, rise per la gioia, nel vedere tutto quel ben di Dio, inghiottendo parecchio liquido, l’acqua fiumana in quei tempi non era inquinata, certo berla non era il massimo della vita, oggi sarebbe letale. Carlo iniziò a battere le mani, spostava sassi, producendo nel torrente un gran fracasso, i pesci terrorizzati dal rumore scapparano tutti nella direzione di Toni, che rapidissimo con le mani iniziò ad agguantarli prendendoli per la testa o per la coda, una volta presi lì scaraventava sulla spiaggia adiacente, in pochi istanti nè catturò molti. Soddisfatti della pesca esausti smisero. Una volta sulla sponda contarono il prezioso bottino, dodici pesci, bel risultato, otto erano trote, tutte belle grosse, il pesce più buono da mangiare, una addirittura era della specie iridea, definita cosi per via delle striscie color argento, rosa, azzurro che gli ornano i fianchi, l’esemplare superava sicuramente il chilo. Si asciugarono, si vestirono, a ritroso fecero lo stesso percorso dell’andata. Doveva essere molto tardi, il sole stanco si andava a nascondere dietro le colline. Il fiume s’era svuotato, s’udiva solo il gracchiare fastidioso delle rane, non c’era anima viva, ad eccezione di Nicola, un uomo di circa trent’anni, detto lo “spostato” per i suoi modi burberi e strani. Stava tirando sassi piatti, facendoli rimbalzare a pelo d’acqua, era bravissimo in questo. Con la coda degli occhi i ragazzi guardarano un sasso tirato dall’uomo, non smetteva mai di rimbalzare contarono tredici saltelli un vero record. Percorsa con fatica la salita, giunsero in strada erano ancora a torso nudo, sudati per lo sforzo fatto, si rinfilarono le magliette. Chiesero l’ora ad un passante, “perdinci”! erano quasi le sette, – stasera a casa – commentarano tra loro -sarà dura, sai i ceffoni-. Inpavidi non curanti della tarda ora si fermarono all’osteria di Milio, rovistarano nelle loro tasche, Carlo aveva cinquanta lire, setttanta Tonino, non sufficienti per acquistare due bicchieri di spuma che costavano cento lire l’uno. Rivolegendosi all’ oste dissero: “Milio per favore ci dai centoventi lire di spuma”? Lui sorridendo sornione rispose:”che avete in quella busta? trote”? “si” disse Tonino “va bè, datemene una e stiamo pari, regolare no”? “come no” risposero all’unisono i ragazzi, dandogli la trota più piccola. Bevvero con gusto la spuma fresca,spartirono il pescato, salutandosi si dettero appuntamento per l’indomani, avviandosi verso casa soddisfatti per il bel pomeriggio trascorso al fiume.

Sono tornato nella mia città natale dopo molto tempo, per portare un fiore sulla tomba dei miei genitori. Per caso mi trovo a percorrere i luoghi della mia infanzia, passo davanti all’osteria di Milio, ora cè una sala giochi, vengo assalito dai ricordi: La spuma bevuta, le avventure, le pescate al fiume, Tonino e gli altri amici. Pensando tutto ciò arrivo all’imbocco del sentiero che porta al fiume, scendo dalla macchina, vedo che è quasi scomparso, ricoperto da erbacce, noto quel luogo divenuto una discarica, rottami e calcinacci, uno schifo. Che tristezza. Quanta nostalgia di quei tempi… bastava così poco per essere felici. Anche oggi è una giornata di metà giugno, fà caldo come allora, allento il nodo della cravatta risalgo in auto, l’aria condizionata è in funzione. Sorrido pensando a quei bei pomeriggi. Riparto alla volta di Roma.

L’ INGORGO

Avevo appena finito di pranzare, un pasto leggero,mozzarella e prosciutto. Dovevo recarmi a Milano, da Fano dove vivo avrei impiegato in auto solo quattro ore. In anticipo rispetto all’orario sull’appuntamento fissato per le ventuno e trenta, in un rinomato ristorante del centro. Avrei incontrato il gotha della cultura comunale del capoluogo Ambrosiano, ci sarebbe stato anche l’assesore. Un’occassione molto importante per me non potevo fallirla. Sono un promoter impegnato nel settore arte e cultura, il mio lavoro consiste nella promozione di eventi storici,medievali, folklore, convengni. Quella sera appunto nell’ incontro avrei dovuto proporre un progetto ambizioso, discuterlo per essere vagliato dallo staf comunale. In caso di approvazione sarebbe stato proposto nella rassegna – “agosto eventi, vivi la tua Milano”. Era per me una buona occasione, sicuramente un esito favorevole avrebbe accresciuto il mio prestigio professionale. Imboccai l’autostrada varcando il casello, ero in anticipo, per una volta non dovevo correre come spesso mi accade. Giunto a destinazione avrei avuto tutto il tempo per fare le cose con calma:recarmi in albergo con tranquillità, goduto di una buona doccia rinfrescante, riletto il progetto e relativo contratto,una volta cambiato d’abito in perfetta forma sarei arrivato in anticipo all’appuntamento, facendo sicuramente una buona impressione, tutto perfetto. Il tempo grigio e il clima gradevole agevolavano il viaggio,Tutto a posto. Sintonizzai la radio sull’emittente gestita dalla società autostrade, (Isoradio). Quando sono in viaggio l’ascolto sempre, oltre trasmettere buona musica, fornisce informazioni in tempo reale sulla viabilità. In onda un bellissimo brano di Elton John, bruscamente venne interrotto dallo speaker, segnalò un grave incidente verificatosi all’altezza di Modena nord sull’ A1 coinvolte due auto ed un’autobotte che trasportava benzina, ribaldandosi rovesciò parte del pericoloso liquido sulla carreggiata, danneggiando il manto stradale; conseguenza autostrada immediatamente chiusa in entrambe le carreggiate…Panico. Adesso cosa faccio? Decisi comunque di proseguire la marcia avventurandomi.La mia tenacia fu premiata, la carreggiata nord, dove stavo transitando, venne riaperta, neanche il tempo di gioire per la lieta notizia, quando lo speaker informò, si stavano creando lunghe code causa un restringimento di corsia, la colonna di automezzi superò in breve gli otto chilometri; un dramma,avrei perso troppo tempo. Seguendo i consigli sui vari percorsi alternativi diffusi da Isoradio, decisi di uscire a Modena sud, proseguire sulla Via Emilia in direzione di Reggio Emilia, dove sarei potuto rientrare in autostrada, superando così il punto critico. Mai scelta si rivelò così sbagliata. L’ arteria stradale era intasata di autoveicoli, si precedeva lenti come lumache, ero finito in un incubo! Più passava il tempo più il traffico tendeva a congestionarsi.
Ero pervaso da un nervosismo crescente, guardai l’orologio cazzo! Già le 18 era tardissimo. Non riuscendo a comprendere quanti chilometri avrei dovuto ancora percorrere per rientrare in autostrada, decisi di avvertire il Dott.Ambrosi, uno dei dirigenti con cui mi sarei dovuto incontrare in serata. Compongo il numero del suo cellulare era libero, per fortuna squillava, rispose: pronto, – buonasera Dottore sono Belletti, – si, sto bene grazie lei? ok bene. Ascolti la chiamo per dirle, – in breve l’ informai sulle sventure di quel pomeriggio. Ambrosi appreso quello che mi stava accadendo gentilmente disse – “non si preouccupi Belletti l’ aspetteremo, quando avrà risolto il problema ci raggiungerà”. Ringraziai Ambrosi e chiusi la chiamata rincuorato. Le nuvole stazionanti da tempo nel cielo, non si trattennerò rovesciando acqua a iosa, un temporale spaventoso. La visibilità difficoltosa,nuoceva ancor di più alla viabilita. Per dirla in breve quel pomeriggio di negativo non si fece mancare proprio nulla. Dopo tanto agoniare ero giunto nei pressi di Reggio, non pioveva più questo era positivo. Il casello autostradale rimaneva comunque un miraggio. Il traffico nel frattempo era aumentato a dismisura, completamente bloccato,Si era fermi.L’orologio dell’ auto scandiva inesorabile il trascorrere dei minuti.Porca miseria erano le dicianove e trenta, tardissimo! Oramai le speranze di arrivare in un orario ragionevole stavano del tutto sfumando.A quel punto richiamai il Dott Ambrosi e concordammo di rinviare l’ incontro.
Il dirigente promise d’ impegnarsi per fissare un nuovo appuntamento il giorno seguente, fatta disponibilità dell’ assessore, con questa sua promessa ci salutammo.La mia ansia e il mio nevrastenismo avevano superato di gran lunga il livello di guardia, non riuscivo a concentrarmi su nulla, provavo a leggere, scrivere appunti, ascoltare musica, niente mi distraeva, imprecavo e basta.Il nervosismo mi aveva portato a torturare un dente che da mesi si muoveva giocoso nella gengiva; sarei dovuto andare dal dentista, non ho mai tempo. Squillò il cellulare, interuppi di martoriare il povero molare e risposi, era Roberta la mia compagna, voleva salutarmi sapere se ero arrivato. Questa sua domanda mi fece esplodere come una polveriera, da idiota riversai su di lei tutti i miei stress,urlai offendendola. Inizialmente con pazienza cercò di ricondurmi a ragione, visto che il mio stato non subiva miglioramenti, stufa interruppe la telefonata bruscamente,lasciandomi solo ad urlare e sbraitare al vento come uno stupido imbecille, quale sono quando assumo determinati comportamenti, con l’ unico risultato di aggravare la situazione.Con rabbia scaravantai il cellullare nell’abitacolo, con vemenza ripresi selvaggiamente a massacrare il disgraziato molare, causandomi un male indicibile, inziai toccandolo con la mano a farlo roteare vorticosamente, più il dolore aumentava più lo muovevo, finalmente dando un strattone deciso l’estrassi dalla sua cavità. In quel momento pensai di essere proprio un selvaggio. Dopo aver costatato di non aver perdite di sangue significative, i miei nervi si distesero, ero sollevato, l’ansia svanita nel nulla insieme al dolore. Faticosamente recuperai il cellulare disperso, provai a richiamare Roberta per scusarmi. Come immaginavo il suo portatile era spento, l’ aveva fatto sicuramente di proposito proprio per evitare di sentirmi, sicura che l’ avrei richiamata.Pazienza, pensando questo ritornai in me, alla realtà.
L’ ingorgo era sempre li, ero circondato da centinaia di automezzi immobili come statue. Sulla destra all’ interno di un auto i miei occhi scovarono una coppia, lui calvo, ossuto, pallido pareva un cadavere stagionato, parlava a raffica non dava tregua al suo passeggero, una donna dalla fisionomia diametralmente opposta: lunghi capelli biondi, viso tondo, carino sprizzava sensualità e dolcezza, aveva i piedi nudi appoggiati sul cruscotto del veicolo non proferiva parola, forse ascoltava. Alla mia sinistra un giallo canarino di una Mini Minor magnetizzò la mia attenzione, scrutando all’ interno notai al volante una giovane donna, capigliatura folta,fluentemente mossa. Era intenta a darsi il rossetto sulle labbra carnose, finita questa operazione si spazzolò i capelli, poi si ripassò le ciglia con il mascara. Bello vederla serena immersa nel suo maquillage. I miei occhi oramai avevano invaso la sua privacy, lei se né accorse ed inziò a ricambiare l’attenzione ammicando di tanto in tanto sorrisi maliziosi. I nostri sguardi del tutto indefesi non si trattenevano nell’ ossservarsi incontrandosi sovente, lei ruppe gli indugi abbassò il finestrino dell’ auto, – in contemporanea lo feci anch’ io. Sorrise,poi esordì rivolgendomi la parola: “che palle stà fila, qui non ci si muove più, pensare sono quasi arrivata a casa, sono obbligata a percorrere questa strada. Ma che cazzo è successo”?- Un incidente sull’ autostrada tutti sono usciti per evitare le code ed eccoci qui, dalla padella alla brace,- risposi sbuffando per darmi tono, continuando aggiunsi – io stavo andando a Milano avevo un appuntamento di lavoro, purtroppo è stato annullato.- Ah si, andavi a Milano! Io l’ amo, soprattutto i suoi negozi, adoro via della Spiga, Montenapoleone, ci trascorrerei intere giornate, ci vivrei a milano, di notte mi piace andare sui navigli, ci sono bei locali, mi diverto molto. Annuendo con il capo risposi “si anch’io amo Milano, mi piace ma non ci abiterei per nessun motivo al mondo”. Come colto da improvviso raptus interuppi il discorso in atto, azzardando una proposta: “ascolta secondo te non c’è modo di tirarsi fuori da questo lamierame ed andare a prendere, non sò – magari un aperitvo insieme!”- Lei sorrise ambiguamente, chiuse il finestrino azionò le quattro freccie e suonando il clacson iniziç a spostarsi sulla destra della strada, io l’ imitai. Dopo non molto, con fatica eravamo fuori dal terribile ingorgo. Lei schizzando come una scheggia con la sua auto si catapultò imboccando uno stradone che costeggiava una zona industriale a quell’ora semi deserta, dopo pochi chilometri arrestò la marcia parcheggiando la sua mini gialla.Scese dell’ auto ondeggiando sinuosamente su dei tacchi anche troppo alti che slanciavano ancor di più la sua figura. Sorridente s’ avvicino alla mia auto, io ero rimasto ancora dentro, appoggiandosi al finestrino disse”che fai non scendi non andiamo a berci quest’ aperitivo”? – Dove? – chiesi, lei con un braccio indicò un motel e aggiunse – “là, andiamo là, ti va”?- Ah dimenticavo io mi chiamo Katia. – Piacere io sono Enrico, si mi va,- risposi scendendo dall’ auto. Frastornato in preda ad uno stato d’ eccitazione improvviso mi avvicinai, cercai di baciarla sulla bocca, si ritrasse,sussurando disse: no, no, questo no e si diresse al motel. Una volta dentro mi porse i suoi documenti, lessi la sua data di nascita era nata nel 1986, aveva solo 25 anni, la metà esatta dei miei. Espletai le formalità in portineria, ci fu assegnata la centocinque. Entrammo in camera, chiusi la porta, lei si mise in un angolo, dandomi le spalle inziò a spogliarsi dicendomi: ” Quanto tempo pensi di passare con me!” – Tutta la notte – risposi io, meravigliato di quello che stava accadendo,-se a te va bene – aggiunsi.- Certo si per me va bene – rispose Katia dandomi sempre le spalle: “una notte con me costa ottocento euro, te mi sei simpatico solo cinquecento sei contento”? Vestito, tramortito risposi – ok. Un pensiero invase il mio essere, quello di essere un povero illuso, come potevo sperare di piacere così tanto ad una ragazza giovane e carina, se non fosse stata quello che é. Una puttana. Deluso dissi: “si va bene ma non ho con me tutti questi soldi, se ti fidi domani prima d’ andar via faccio bancomat e te li dò.” Katia si girò, nuda, una lieve abronzatura dorava la sua pelle , rise con gusto, venne vicino inziò a baciarmi, la sua lingua umida, calda si sciolse nella mia appassionatamente. Mi spinse sul letto, spogliandomi disse: ” Scemo sei bellissimo…. ho voglia di te, ora basta con questi giochi… Fammi tua… Scopami”.

“figlio del verbo correre”

Allungò lo sguardo verso est dove il mare schiumava cheto. Inermi i chiarori del giorno   chiedevano diritto di spazio alla notte che svaniva lenta. La sagoma slanciata di Hassan poco alla volta acquisiva identità. Guardò i suoi piedi nudi, protese il lungo collo dando così forma all’ombra come fosse un clamoroso punto esclamativo. Scrutò a sud e in quella direzione sulla soffice sabbia iniziò a correre. Neutro nei pensieri, la mente sgombra, un solo obbiettivo; correre, solo quello doveva fare. Inizialmente piano senza strappi, una corsa lieve, le gambe dapprima tese e ancora addormentate dopo pochi minuti di acerbo riscaldamento presero a roteare veloci. Hassan correva svelto, agile, scavalcando il riflusso del mare che in un brio spumoso si adagiava lento a riva. Il color ebano della sua pelle iniziava a configurarsi deciso nel buio oramai sbiadito. Lo smalto dei denti come oro bianco risaltava netto nella timida alba, la sua ombra costantemente si dissolveva disintegrandosi. Dal fondo dell’ orizzonte i toni di luce s’ impostavano in rapida sequenza imprimendo espressione all’azzurro sbiadito del mare per poi miscelarsi in gialli pallidi, arancio, rossi sfumati, infine fiammanti. Il paesaggio sottostava a frequenti cambi scenografici, estasianti. Hassan continuava nella sua corsa, sempre più veloce, la fatica non traspariva in lui, le movenze di gazzella donavano eleganza all’andatura. Il manto morbido della sabbia si tramutò in ghiaia brecciosa, fastidiosa da sopportare, ma non per i suoi  piedi, abituati a superfici peggiori: ispide, arse, taglienti. Il suo habitat, il deserto. Non accusava dolore, il suo incedere era costante, rapido. La notte giunse al capolinea, il nuovo giorno era nato. Come un giovane puledro galoppava tagliando come lama affilata l’impudente brezza. Non si concedeva né soste né mete; correva e basta, figlio del verbo correre. Hassan lo faceva fin da bambino nella sua Africa in Costa d’ Avorio, quando nelle radure della savana portava al pascolo capre e pecore. Il suo compito, affidatogli dal padre era quello di badare al gregge e di preservarlo dai continui attacchi degli implacabili predatori, animali arroganti e affamati. Era bravo a captare il pericolo in tempo, così correndo lesto sfuggiva conducendo se stesso e il bestiame al riparo. Hassan correva quando doveva prendere l’autobus che lo portava a scuola contro il volere della sua famiglia. Non doveva sapere, non istruirsi. Corse quando suo padre nella desolata savana, accusò un malore  accasciandosi esanime al suolo. Riuscì a salvargli la vita arrivando in tempo per chiedere soccorso. Corse quando dovette sfuggire alla ferocia dei miliziani, avendolo individuato come un capo popolo rivoltoso, istigatore di folle, ribelle contro il potente presidente di quello stato. Ancora corse quando gli dissero che una delle sue sorelle era stata seviziata, violentata in tutte le sue vergini intimità da uomini bastardi al soldo del regime. Hassan corse quando fuggì malconcio, zoppicante dalle prigioni di stato dove era stato rinchiuso per motivi politici. Nuotò senza sosta, stremato fino allo spasmo in acque blu petrolio a lui sconosciute. Di nuovo corse in quelle coste chimera di una nazione chiamata Italia, inseguito da uomini vestiti di grigio, braccato dai loro cani. Il ragazzo, che correva  divenne verbo della parola correre. Adesso corre. Non più su una sperduta spiaggia, ma nel mezzo di un sogno oggi trasformato in realtà. Il Big Ben è uno splendido sfondo, il giovane dalla pelle color ebano, scalzo corre, come il suo conterraneo Abebe Bikila lo fece nella maratona alle olimpiadi di Roma vincendola nel 1960. Hassan vola tra due ali di folla plaudente, commossa;  festosa lo saluta incitandolo diritto all’arrivo, incoronandolo alla libertà, alle sue rivalse, soprattutto quelle di tutto un popolo: povero, bistrattato, deriso, sfruttato per secoli. Elegante, agile come un puma taglia l’ agognato traguardo. Un mega display illumina il suo volto sorridente, il suo nome riluce fosforescente : HASSAN – EL –  MAGHEBRI’- Costa D’ Avorio –  2h, 19, 07. – 16° assoluto   OLYMPIC –  MARATHON – LONDON –  2012.

HASSAN   NON HA VINTO.

Non è salito sul podio. Non ha nessuna importanza.  Lui ha vinto comunque, per se, per il suo popolo: contro l’ intolleranza, i soprusi, i torti subiti, i dittatori sanguinari, i malvagi ingordi e sfruttatori, per i deboli, gli indifesi, l’ integrazione. Sì, lui ha vinto davvero.

HA VINTO PER LA VITA .                                         ABEBE BIKILA OLIMPIADI DI ROMA 1960

A Pasquale Carotenuto emigrante. Imbarco Palermo 20 ottobre del 1932 Sbarco New York 12 maggio del 1933.

Per chi si dimentica.

nel silenzio

Ascolto il rumor del mare…

silenzio

che del nulla narra.

Bisbigli soffocati di languide sirene.

luccicchii spezzati di lampare

riflessi

nella luna tinta di giallo vestita.

Scintille argentee brillano

nel colore sfumato, dipinto di notte.

Profumi di brezze vagano.

goccie di passione

 cadono

come petali di gelso

corpi ansimanti nelle fiamme si mescolano

la luce tremula di un faro

scandisce il tempo

di un amore tradito

ferito, strappato

nel vento smarrito

mai dimenticato.

son qui nel tempo di te

sul tuo seno disegnato di stelle

le labbra rosse bagnate dall’ alba nascente.

nel silenzio del tuo sorriso

vivo.

ora

ascolto il rumore del mare.