Era il 17 giugno del lontano 1970. Io in sella alla vecchia bicicletta nera, rubata al nonno, cingolante pedalavo. Strade deserte, silenzio mistico, panni stesi alle finestre mescolati tra tanti tricolori, bandiere italiane sventolanti. Sì, quel giorno veniva data in televisione la tanto attesa semifinale dei campionati mondiali di calcio messicani. La poi definita partita del secolo, ITALIA – GERMANIA. L’ incontro non rappresentava solo una sfida calcistica, ma molto di più. Una rivalsa verso il nostro emigrare in quel paese straniero, le umiliazioni subite, le disfatte e le miserie di una guerra ancora non troppo remota da dimenticare, dove le ferite segnavano ancora le memorie di chi l’ aveva vissuta. Per farla breve, non era solo una partita di calcio ma una sorta di rinvincita generale, generazionale, un evento comunque storico. Mancava ancora un’ ora all’ inzio dell’ incontro calcistico ma, come già detto, nelle strade poca gente. D’ un tratto sento strombazzare alle spalle: era il mio amico Nino con il suo 850 Fiat ricoperto da poster che ritraevano la nostra nazionale. Mi urla -dai, ancora qui? ci vediamo al bar! e poi aggiunge – gli facciamo un culo così stasera a ‘sti crucchi del cazzo! Strombazza di nuovo il clcson e fugge via alzando una nuvola di bianca polvere. Era una serata calda, non afosa, un buon clima. Ventuno anni i miei, una vita da improvvisare. Un padre emigrato in quel paese straniero da cui l’unica notizia che arrivava erano le centomila lire che riceveva mia madre tutti i mesi e che dovevano bastare a campare lei con noi 4 figli. Altre notizie di lui non ne avevamo; sembrava si fosse rifatto una famiglia lì nel freddo della triste e lontana Germania. Io non ci ero mai stato in quel paese. Mi ci recai anni dopo, a far visita a mio padre malato e morente, scoprendo di avere una sorella, Brida e un fratello, Carl. Cioè si chiama come me perchè io mi chiamo Carlo e lui Carl. Ma che fantasia! Ma che strano modo di vedere la vita aveva mio padre, oggi defunto. Lasciare un Carlo per un Carl…mah!!! Vacci a capire qualcosa…ma questa è un’altra storia. Mentre pedalavo tranquillo verso il bar dove mi dovevo incontrare con i miei amici per assistere in tv all’ agognata sfida, mi trovai a passare in una delle tante viuzze del mio paese. Davanti all’uscio di una casa c’era Olga, una bellissima donna, neanche a farla a posta di origine teutonical’ unica nella zona . Era lì impalata nella sua statuarietà: bionda, altissima, due occhi da cerbiatta, un viso rotondo come il mondo che si aprì istantaneo ad un sorriso accompagnato da un ciao. Io proseguii pensando che il ciao non fosse rivolto a me, ma riflettendoci, ero solo in strada e tornai indietro di qualche metro. Mantenendomi a debita distanza le dissi -Buona sera signora, ha bisogno di qualcosa? -No, ti ho solo salutato. Che fai tu, non guardi la partita?- disse con l’inequivocabile accento germanico. Io risposi -Sì, e come no, sto andando al bar a vederla insieme ai miei amici- -Ah si? Ma hai mangiato? Pensavo che tu potessi vedere la partita con me, mi sento molto sola e magari ti faccio anche due spaghetti. Sono divenuta brava con la cucina italiana sai. E aggiunse un malizioso “mio marito non c’è è tornato in Germania per i suoi affari”. Il marito, pensai, quello stronzo, quel tedesco del cavolo l’ unico emigrante al contrario. Ricco e tirchio, commerciava il pesce ‘sto cretino. Hanz cosi’ si chiamava il becero coniuge della tedesca, era conosciuto negli ambienti del porto per essere molto abile nel trattare i suoi affari, rigido e implacabile un vero e proprio sfruttatore. Non era simpatico a nessuno, neanche a me, – per un semplice motivo. Quando mi chiamava per fargli delle commisioni mi ricompensava con “quattro lire” detto semplicemente elargiva in cambio dei miei favori una vera miseria.Non pago del suo ignobile fare inesorabile con la sua gracchiante voce, – ironicamente diceva – mi raccomando non te li spendere tutti insieme, condendo la frase con un’ inopportuna stridula, odiosa risata.Mi stava proprio antipatico il crucco, non lo sopportavo per nulla .Olga sempre ferma davanti alla sua porta nel sorridermi disse; allora che fai ? bar o spaghetti, qui a casa mia decidi. Rimasi perplesso un pò sorpreso da questo inaspettato invito che per quanto fosse allietante, di fatto scompaginava tutti i miei programmi fatti per quella serata. Come folgorato decisi. Appoggiai la bicicletta al muro e timoroso dissi, – spaghetti qui da te, aggiungendo un timido- ma la partita la vediamo. Olga, rise di cuore rispondendo- certo che la vediamo stai tranquillo, non ti mangio mica. Cosi entrammo nella sua abitazione .
Questo racconto è il mio modo un pò diverso scansonato per fare gli auguri a questa nazione.Per ricordare tempi di altra fattura, altro vivere. Dove consapevolmente si sapeva che il giorno che veniva appresso, era sicuramente migliore di quello trascorso un Italia in crescita dove ci si accontentava del poco, dove il sorriso regnava nei cuori delle persone dove non si conosceva il significato della parola stress. Oggi purtroppo non è cosi, speriamo che la situazione fosca, tinta di grigio torni lentamente a migliorare, facendo ritrovare il sorriso al popolo, oggi stanco e demoralizzato…………………AUGURI ITALIA.